mercoledì 10 novembre 2021

Alla ricerca dell’Energia pulita e sostenibile (Ezio Roppolo)

    Alcune tessere del mosaico sociale, che rappresenta lo scenario in cui siamo tutti abituati a muoverci, appaiono solide come rocce. E poi ci lasciano basiti e senza punti di riferimento quando improvvisamente si sgretolano come castelli di sabbia alla prima onda lunga.
Sono rimasto personalmente sconcertato dal constatare come ogni singolo talebano riesca a terrorizzare ben 333 afgani. Mi sorprende anche la più grande economia del mondo: maestra di management e democrazia, ma è riuscita a dilapidare in quel paese 3300 dollari pro-capite all’anno per 30 anni. L’Europa in confronto, ci affida 700 euro caduno per 5 anni e si aspetta che noi si recuperi il territorio, si sistemi il nostro apparato burocratico e per di più che diventiamo “ecologici”…. mah !

L’energia idro-elettrica: tappezzeria “pulita” o protagonista poco raccomandabile ?

Parlando di ecologia e di energia, proviamo allora ad analizzare un’altra di queste tessere chiave.

Quasi tutti gli italiani, anche quelli che vivono nei territori interessati, maneggiano poche informazioni circa la realtà del settore idroelettrico: solo quelle che rappresentano la faccia “bella” della medaglia.

Tutti infatti sanno che questa modalità di produzione dell’energia è “pulita”: salvo particolari eccezioni, essa non produce anidride carbonica (CO2) o altre emissioni inquinanti, è “rinnovabile” perché basata su una fonte primaria (l’acqua) che “gratuitamente” ritorna in grado di produrre quanto aveva generato l’anno precedente.

Già sono meno numerosi quelli che sanno indicare l’idroelettrico come la più efficiente modalità di produzione di energia “immediatamente sfruttabile” e quindi economicamente meno costosa.

Ancora più raramente si trovano persone consapevoli che questa fonte, essendo “programmabile” in funzione dei consumi, è pregiata persino rispetto alle altre rinnovabili più diffuse (solare ed eolica).

Gli aspetti negativi indissolubilmente connessi con l’idroelettrico, invece, sono conosciuti da pochissimi e spesso neppure tutti gli “addetti ai lavori” ne hanno una visione davvero complessiva.

Chi si interessa degli aspetti ambientali, ad esempio, sa che l’impatto iniziale dell’impiantistica è letteralmente devastante per il territorio, per la flora e per la fauna. Esso si protrae nel tempo oltre la vita economica - cioè, non fino alla dismissione ma fino a quando non verrà smantellata e rimossa – e si estende nello spazio – non solo fino al punto di re-immissione delle acque turbinate nel corso d’acqua ma spesso fino al mare. Anzi, ormai, l’impatto sul cambiamento climatico globale degli impianti idroelettrici, di dimensioni sempre maggiori in tutti i continenti abitati, è ormai così forte da prevedere la riduzione della disponibilità di acqua anche per la produzione. Ironia della sorte o, meglio, risposta della natura.

Chi si interessa degli aspetti tecnici conosce d’altro canto l’importanza e la necessità di assidui programmi di manutenzione per garantire sia l’efficienza sia, soprattutto, la sicurezza per l’incolumità della popolazione a valle degli impianti. E’ anche consapevole che in Europa, in Italia più ancora, le opportunità di installare nuovi impianti di rilievo sono praticamente nulle. Sa anche che gli impianti italiani sono ormai dannatamente vecchi e non attrezzati per il monitoraggio statale del consumo di acqua e della produzione di energia.

Chi, infine, è attento agli aspetti sociali ed economici del settore ricorda quanto sia stato importante per lo sviluppo delle economie nazionali. Conosce peraltro anche l’impatto socio economico distruttivo sulle economie locali dei territori gravati dagli impianti: spopolamento e desertificazione del tessuto economico.

Secondo diversi studi, mediamente meno del 20 % del valore aggiunto dalla produzione idroelettrica resta infatti nel territorio di origine: i benefici sociali vanno a vantaggio di pianure e grandi centri urbani mentre gli utili economico finanziari sono appannaggio degli operatori, spesso multinazionali dell’energia, in Italia anche aziende con capitale in gran parte pubblico.

Il mini-idroelettrico all’italiana

Nonostante questi clamorosi svantaggi e i disastri durante il boom economico, la politica e le amministrazioni pubbliche negli anni più recenti si sono adoperate per facilitare lo sfruttamento intensivo delle risorse idriche di più modesta rilevanza. Hanno favorito la corsa all’oro (azzurro) dell’ultimo “idro- kilowatt” persino nelle parti più alte delle montagne, dove il danno ambientale è più forte, sia per delicatezza e fragilità degli ecosistemi, sia per il maggior impatto del cambiamento climatico alle quote più elevate.

Perché parliamo di modalità insensate? La normativa e la sua applicazione sono talmente assurde da favorire l’iniziativa privata a danno economico tangibile ed immediato delle piccole comunità di montagna (Comuni e Consorzi irrigui) e di consentire il progressivo e inarrestabile degrado dell’ambiente, cui poi si destinano risorse per il dissesto idrogeologico, magari poche, ma sicuramente pubbliche.

Infatti, l’Italia è un orto botanico pieno di fiori rari ed esotici… esempi dalla maggior parte delle Regioni di ogni immaginabile artificio, con in comune lo sfruttamento scriteriato della risorsa e/o delle falle del sistema e della dabbenaggine dei cittadini. Si va dal rendere impraticabili le attività agricole o turistiche insediate da tempo alle “cascate ad orario” per consentirle, ma solo in momenti prestabiliti.

Oppure, si trovano agevolmente Consorzi di Miglioramento Fondiario con bilanci stile “nozze con i fichi secchi” cui gli “esperti” del settore riservano qualche briciola (e anelli da mettere al naso degli amministratori), trattenendo per sé utili da banchetti pantagruelici, naturalmente utilizzando molto liberamente l’acqua derivata per l’irrigazione.

E, si, non si possono chiamare “imprenditori” … al massimo, diciamo, “esperti”. Una delle caratteristiche di fare impresa è infatti il fattore “rischio”, che però NON ESISTE praticamente nel caso dell’impianto di un’attività di mini-idroelettrico.

Questo è proprio il risultato del programma nazionale di incentivazione alla produzione delle energie rinnovabili che, con le nostre bollette di casa, paga per decenni i kilowattora prodotti in questo modo a prezzo vantaggioso e fisso, annullando di fatto ogni possibile rischio di impresa.

Nel contempo, i torrenti e i loro alvei vengono disseccati e resi improduttivi e franosi, anche quelli che beneficiano del “deflusso minimo vitale” e si interrompono e danneggiano mortalmente le catene alimentari. Il rispetto del DMV mai è realmente controllato.

Quanto finora esposto è puramente discorsivo e non supportato da evidenze quantitative o da una bibliografia accurata. Mi auguro di aver stimolato un elevato numero di lettori riflessivi e curiosi, che potranno trovare facilmente in Rete una messe di informazioni, studi e notizie che consentono di verificare su scala globale ogni elemento dello scenario delineato.

Nel seguito di questo scritto, vorrei analizzare ad un livello di dettaglio più approfondito proprio il tema del mini-idroelettrico, mettendo in luce in modo particolare il tema socio-economico.

Un caso molto locale e molto significativo

A questo scopo, posto il livello delle risorse disponibile a chi scrive, mi limiterò a utilizzare dati territoriali pubblicamente disponibili nella più piccola delle regioni italiane, la Valle d’Aosta, ricordando però che le considerazioni qualitative emergenti possono certamente essere applicate a tutta l’Italia.

In Valle, 3200 kmq di superficie, tutti i Comuni hanno corsi d’acqua con portate e salti sfruttabili per installazioni idroelettriche. Solo Aosta ha più di 10.000 abitanti e strutture organizzative di cui non dispongono gli altri 72 Comuni; 60 di questi contano meno di 2000 residenti.

Oltre ai Comuni, in Valle d’Aosta sono attivi ben 176 Consorzi di Miglioramento Fondiario (CMF), che la Regione, nel corso dei decenni ha supportato nell’investire in derivazioni dei corsi d’acqua e in acquedotti per irrigare pascoli e terreni agricoli. Come facilmente si può immaginare, questi impianti sono mediamente “vecchiotti” e necessiterebbero di nuovi investimenti in manutenzione straordinaria e aggiornamento tecnico, ma il denaro … non esce direttamente dai tubi dell’acqua.

Oltre agli agricoltori professionali, i Consorzi sono composti da moltissimi proprietari di fondi pertinenziali o comunque piccoli, cioè chi ha il giardino o l’orto dietro casa e può usare questo acquedotto per la coltivazione, risparmiando l’acqua potabile. Supponendo che ogni Consorzio abbia mediamente almeno un centinaio di associati e considerando che la proprietà dei fondi sia familiare, parliamo di circa 40.000 persone interessate alla questione, all’incirca un terzo della popolazione regionale.

In realtà, la frazione di popolazione interessata potrebbe anche essere superiore, ma non sembrano disponibili dati statistici in merito, come neppure lo sono quelli relativi alla superficie territoriale coinvolta. Basandosi su qualche dato colto da fonti non specifiche, si può ipotizzare che la superficie media del bacino idrografico di pertinenza del Consorzio si aggiri sui 10 kmq (un rettangolo di 5 km di lunghezza per 2 di larghezza). Pur con tutte le approssimazioni del caso, possiamo facilmente notare che la superficie complessiva è vicina alla metà di quella dell’intera Regione (10 kmq* 176 consorzi/3263= 54 %).

Ci confrontiamo quindi con una questione tutt’altro che trascurabile, sia territorialmente – quindi ambientalmente – sia socialmente – quindi economicamente - .

Gli idro-operatori, le piccole comunità e la Regione

L’opportunità di sfruttamento delle tecnologie “mini-idro” avrebbe quindi dovuto essere colta dai Comuni e dai CMF, con l’attenzione per l’ambiente che certamente metterebbe chi vive da vicino, anzi, proprio sul posto, la realtà locale. Non solo, le risorse economiche prodotte in questo modo potrebbero risolvere, o almeno alleviare molto, le difficoltà di bilancio che questi piccoli enti giustamente lamentano ormai da anni.

Certamente, peraltro, le competenze e le risorse economiche per sviluppare queste iniziative non sono nella disponibilità di queste mini organizzazioni. Tuttavia, la Regione Autonoma, con circa 3000 addetti, avrebbe potuto sopperire alle necessità amministrative per la migliore gestione del territorio e delle attività agricolo-ambientali ed energetiche.

Una ulteriore spinta in questa direzione avrebbe dovuto provenire dalla considerazione che la Regione stessa possiede le acque e i corsi d’acqua, poiché il Demanio dello Stato italiano li ha ceduti con il riconoscimento dello Statuto Speciale: si sarebbe quindi trattato di sviluppare la struttura e di meglio utilizzare una dotazione del proprio patrimonio. Considerazione banale: la avrebbe proposta e si sarebbe comportato di conseguenza ogni “buon padre di famiglia”; questa definizione non è di chi scrive, ma è di buon senso e anche del Codice Civile.

La realtà esistente è però “leggermente” disallineata rispetto alle attese indicate.

Le maggiori concessioni idroelettriche sono operate dalla Compagnia Valdostana delle Acque, azienda di proprietà regionale che produce e distribuisce esclusivamente energia da fonti rinnovabili, con una potenza nominale installata di oltre 1000 MW su 28 centrali idroelettriche. Fin qui, tutto sarebbe positivo se questa società si impegnasse veramente a favore di una rapida e completa transizione ecologica…

A parte quelle di CVA, in Valle d’Aosta nella primavera 2019, erano attive altre 65 concessioni ad uso idroelettrico, mentre altre 26 domande erano in corso di valutazione.

Delle prime 65, due solamente sono da considerarsi “grandi derivazioni”, cioè hanno una “potenza nominale” (calcolata secondo regole standard) superiore ai 3 MW; per rendere l’idea, questa è una potenza pari a quella di una trentina di auto di medio livello.

La somma delle potenze delle 63 rimanenti, 10,6 MW, curiosamente, è circa pari a quella delle due più grandi. Naturalmente le due grandi sono operate da aziende private, quindi orientate a produrre profitti economici, prioritariamente rispetto alle esigenze di ambiente e popolazione.

Ma la vera “sorpresa” è che l’86 % di quella potenza nominale – la capacità di produzione di energia e quindi di profitto - delle 63 concessioni è in capo a 38 società private di capitali, quindi operatori “professionali” dell’energia. Analizzando inoltre le 26 domande “in progress”, si trovava una situazione analoga: 18 sono relative a s.r.l. del settore e si può facilmente intuire che le potenze residuali siano lasciate ad altri.

Le rimanenti 25 di 63 concessioni operano sul 14 % di cui sopra, cioè 1,5 MW, diciamo quindi 2 automobili per concessionario contro le 24 degli “operatori professionali”. Queste 25, piccole tra i piccoli, sono in capo a CMF e a privati cittadini (presumibilmente operatori agricoli-turistici individuali); la più piccola appartiene all’Ente Parco Nazionale Gran Paradiso.

Da quanto si può già comprendere dall’esposizione, sembra lecito affermare che Stato nazionale e Regione Autonoma non abbiano supportato i primi e più “logici” aventi causa a utilizzare l’opportunità offerta dagli sviluppi tecnologici del mini-idroelettrico. Con la normativa “ciecamente” favorevole all’energia rinnovabile, sono venuti meno alle loro finalità istituzionali di supporto alle attività di interesse territoriale e di miglioramento delle proprie dotazioni patrimoniali. E non si può sacrificare, comunque e a prescindere, un “bene comune” prezioso come l’acqua sull’altare della “concorrenza” e della maggior produzione elettrica, quando la stessa Europa concorda sulla preminenza dell’interesse pubblico: quello della salvaguardia ambientale e quello delle comunità locali.

Ad esempio, brillano in Valle d’Aosta per la loro totale assenza le operazioni di sfruttamento degli acquedotti per uso umano e delle fognature, che sono pur sempre flussi di acqua già in condotta e con interessanti pendenze, data la conformazione del territorio. Eppure, è certamente ben noto anche all’Amministrazione Regionale che gli acquedotti comunali…. fanno acqua da tutte le parti…. oltre che dai rubinetti: sfruttarli come fonte di energia sarebbe stata una operazione di grande valore anche per ristrutturarli e ammodernarli !

Le leggi di Darwin e quella dell’avidità: fino a quando vince il più furbo ?

Viene allora naturale domandarsi se gli “operatori professionali” abbiano almeno avuto un approccio “etico” alle relazioni con i propri interlocutori e se Comuni e CMF abbiano saputo difendere adeguatamente i propri interessi, pur nella già riconosciuta carenza di strutture organizzative e competenze specifiche.

Le risposte individuate nel seguito non possono essere generalizzate, in quanto riportano situazioni di casi specifici sicuramente rappresentativi di una realtà diffusa, ma non statisticamente dimostrabile con i dati disponibili.

Dato che la possibilità di sfruttamento di corsi d’acqua per nuovi siti produttivi era già al tempo ormai praticamente inesistente, salvo le accennate scriteriatissime operazioni in alta quota, era importante utilizzare le concessioni e le derivazioni esistenti per scopi irrigui al fine di realizzare gli impianti idroelettrici.

Qui entravano in gioco i citati CMF e, marginalmente, alcuni Comuni. Per l’approvazione di una nuova Concessione ad uso idroelettrico era necessario stipulare una “convenzione” tra il CMF, titolare della derivazione ad uso irriguo o comunque agri-zootecnico, e il futuro concessionario idroelettrico.

Alcune delle convenzioni esaminate sono connotate da un discreto livello professionale, sebbene sicuramente migliorabili sotto il profilo giuridico oltre che sul piano squisitamente commerciale operativo. Tutte, senza eccezioni, contengono clausole talmente svantaggiose per i Consorzi da essere considerate davvero inaccettabili. Un potenziale partner che presentasse proposte di quel tenore dovrebbe essere declinato immediatamente e senza remore da chiunque fosse consapevole di quanto sta negoziando.

Altre convenzioni sono primitive al punto che sicuramente una stretta di mano avrebbe vincolato l’operatore professionale ad un comportamento maggiormente etico nei confronti del Consorzio. Riservo però le spigolature più gustose a chi volesse privatamente approfondire questo aspetto.

Per ottenere la concessione è poi necessario presentare alla Valutazione di Impatto Ambientale il progetto di tutte le opere: in generale la derivazione con le vasche di decantazione, la condotta, la centrale di produzione, la condotta di restituzione e l’elettrodotto di collegamento alla Rete.

L’esame di queste VIA ha suscitato perplessità.

Ad esempio, per un’area riconosciuta a rischio idrogeologico non vengono proposte opere idonee con accorgimenti per la riduzione del rischio, ma viene ugualmente richiesta l’autorizzazione che, se concessa, riporta il rischio sull’Ente concedente anziché in capo all’esecutore dell’opera. In un altro caso, si sfrutta l’opera di derivazione esistente – evidentemente di concezione obsoleta – esplicitamente negando la necessità di prevedere nella progettazione, quindi ovviamente neppure realizzare, gli accorgimenti necessari per consentire il superamento dell’ostacolo da parte delle specie ittiche locali.

Eppure è ormai perfettamente noto a chiunque nel settore che l’interruzione di una qualsiasi parte della catena alimentare squilibra l’intero ecosistema locale: flora, fauna ma anche clima e persino consistenza geologica dei terreni. Questo concetto spiega quanto fragili siano gli equilibri che la derivazione del flusso naturale del corso d’acqua va a “disturbare”. Anzi, il fatto che il flusso “turbinato” venga reimmesso in alveo “tutto in un punto” propaga a valle la perturbazione dell’equilibrio ecologico, tanto più che quest’acqua è praticamente priva di detriti (decantati a monte, per non corrodere le turbine) di vari tipi e funzionalità naturali che sarebbero stati trascinati a valle.

I progetti VIA di cui sopra contengono anche dati interessanti circa i flussi di acqua prelevata e talvolta anche sulle potenzialità economiche. L’analisi di qualche caso mostra che il principio progettuale delle derivazioni è solitamente quello di derivare, cioè prelevare, “tutta l’acqua possibile”. Laddove è previsto un “deflusso minimo vitale” (DMV), si consente al corso d’acqua di mantenere al massimo quella portata, costringendo il tratto di fiume al livello minimo di sopravvivenza, sempre che la valutazione del DMV fosse corretta e i fattori determinanti non si modifichino nel corso del tempo, portando così alla fine dell’ecosistema pre-esistente.

La portata di acqua, insieme alla differenza di altezza tra derivazione e centrale, sono i fattori che determinano la potenza dell’impianto e l’energia che se ne può ricavare durante il funzionamento. L’energia elettrica prodotta, quando non auto-consumata, viene venduta alla Rete Nazionale. Poiché nascente da fonte rinnovabile, il prezzo di questa energia è “incentivato” cioè in genere superiore a quello “di mercato”. L’incentivazione pagata al produttore dalla Rete viene riversata in bolletta agli utenti italiani.

Il trattamento “di favore” ricevuto dal produttore è però in realtà “doppio”: infatti questo prezzo è fisso per tutta la durata della concessione. In tal modo, il rischio commerciale dell’impresa è del tutto annullato.

Inoltre, poiché la tecnologia idroelettrica è davvero molto matura, il rischio tecnico intrinseco alla realizzazione dell’impianto è, esso pure, praticamente nullo. Ancora, il sistema bancario premia sistematicamente un’attività senza rischi, finanziandola totalmente. Tirando le somme, l’attività in questione NON può essere catalogata tra quelle davvero “di impresa”, proprio perché non è caratterizzata dal rischio imprenditoriale.

Essa è d’altra parte alquanto remunerativa, dato che se ne può trarre un reddito, sostanzialmente fisso e prevedibile per una durata considerevole, senza neppure investire e rischiare un euro di capitale proprio.

Secondo i conteggi esposti, una potenza nominale di 250 KW sarebbe in grado di produrre un profitto prima delle tasse di circa 180.000 euro all’anno, che è un risultato molto godibile anche con il livello italiano della tassazione.

A fronte di queste considerazioni, appare quindi difficilmente spiegabile il quadro descritto in precedenza, in cui un numero importante di Consorzi abbia in massa delegato ad altri la facoltà di trarre profitto da risorse proprie, a fronte del pagamento dei popcorn…. a quanto visto, circa il 3 % del fatturato, ovvero circa il 6 % degli utili netti.

E’ poi davvero strano che condizioni così interessanti abbiano attratto solo un piccolo manipolo di aficionados: i gruppi di interesse attivi in Regione in questo ambito si possono infatti contare con le dita di una sola mano.

Questi “fortunelli” mettono anche in atto schemi di comportamento atti a migliorare indebitamente il livello di redditività intrinseco.

Ad esempio, si può ricordare il caso di un Comune che era stato inizialmente coinvolto nella compagine sociale “idroelettrica” con una quota rilevante. Tale partecipazione aveva prodotto un dividendo importante in valore assoluto. Per evitare di continuare a erogare cifre di quel livello (si parlava di circa un milione di euro annui), il resto della compagine sociale provvide immediatamente ad effettuare un forte aumento di capitale, che il Comune ovviamente declinò e, successivamente, nessun altro Comune entrò in società simili.

Addirittura, e non raramente, dopo aver superato il limite dell’etico, sullo slancio tali comportamenti superano anche quelli del lecito.

Seppure con la dovuta calma, l’autorità competente procede infatti ad effettuare controlli sul prelievo puntuale di acqua dai quali si evidenziano molto spesso infrazioni, anche di quantità significative.

Ebbene, non soltanto i concessionari “eccedono frequentemente”, ma si rifiutano pure di pagare le poche sanzioni comminate. Infatti, nessuna delle 153 sanzioni erogate dopo il 2016 in Valle d’Aosta è stata pagata e tutte le contestazioni giacciono in attesa di giudizio.

A questo proposito, è opportuno evidenziare come la redditività dell’impianto può essere moltiplicata fino a 5 volte rispetto ai già remunerativi valori di progetto, cioè quelli definiti dai prelievi autorizzati e pur rispettando (come sopra indicato) i valori di DMV prescritti. E’ quindi pratica del tutto usuale quella di superare stabilmente il livello previsto di prelievo intanto, se ti “beccano”, puoi sempre contestare.

In conclusione, il mini-idroelettrico che produce energia molto teoricamente senza danni ambientali e molto costosa per la comunità, si è rivelata soprattutto un’appetitosa opportunità di business, a svantaggio della natura e degli abitanti del territorio.


Questo scritto è dunque finalizzato ad una presa collettiva di coscienza, con l’augurio che politica e amministrazione intervengano almeno per una volta in modo favorevole al territorio, ma anche ai diretti interessati perché pongano maggiore attenzione al proprio patrimonio naturale, una parte di quello scenario che tutti consideriamo “garantito”, ma che è invece seriamente a rischio e, come esposto, non solo a quello del cambiamento climatico.

Ezio Roppolo, ingegnere


Ringrazio sentitamente la prof. R.Bertolin per la fattiva collaborazione, soprattutto per quanto concerne la ricerca di dati, informazioni e documentazione tra cui le seguenti foto tutte scattate negli ultimi anni in Valle d’Aosta.

I torrenti nella tropicale estate valdostana


Il deflusso MINIMO VITALE a valle delle derivazioni per il mini - idroelettrico




Lavori per impianti idroelettrici nelle incontaminate valli valdostane (2000 m slm)


giovedì 12 luglio 2018

CVA : Consegnate le firme al presidente della Regione Fosson

Quasi 4000 firme contro quotazione in borsa Cva consegnate al presidente del consiglio, Antonio Fosson
Aosta 12 luglio 2018

LETTERA DI PRESENTAZIONE
della Raccolta Firme per chiedere un Referendum Consultivo sulla quotazione in borsa della Compagnia Valdostana delle Acque , petizione popolare.


Alla c. a. del Presidente del consiglio Regionale dott. Antonio Fosson.

Sig. Presidente , il “ Comitato giù le mani dalle acque e da CVA “ ha il piacere di consegnare a Lei e quindi al Consiglio Regionale le firme che abbiamo raccolto in merito alla vicenda della possibile quotazione in borsa di CVA .

I cittadini valdostani che hanno firmato la petizione sono ad oggi 3911, e con queste firme chiedono al Consiglio Regionale e alla Giunta di impegnarsi a deliberare quanto chiesto dal Comitato popolare fin dal Maggio 2017 :
  • Indire un referendum consultivo che consenta ai valdostani di votare in modo democratico e partecipato a favore o contro la quotazione in borsa di 1/ 3 della Compagnia Valdostana delle Acque.
  • Approvare subito la moratoria per la sospensione di tutto l'iter della quotazione

- Chiedere all'assessore competente e al presidente della giunta di riferire in Consiglio
a che punto é il procedimento di quotazione, e quanto denaro pubblico é stato speso.

_ Rendere pubblico tutto quanto é stato finora tenuto nascosto ( documenti e atti ) e
iniziare un dibattito pubblico su tutta la vicenda.

Considerazioni di carattere generale :

Nel 2016 con deliberazione del Consiglio regionale, su proposta della Giunta, venivano approvati indirizzi e orientamenti relativi alla quotazione in borsa della società controllata CVA, quotazione autorizzata dall'art. 27 comma 1, della legge regionale 21 Dicembre 2016,n 24 ( legge di stabilità regionale per il triennio 2017-2019)

Per capire cosa le “ autorità competenti “ hanno deciso di fare, occorre uscire dal linguaggio ottuso e asettico della burocrazia : si é deciso in modo unilaterale di vendere una parte di un bene che é di tutti, senza informare le persone che vivono nella Comunità e che sono le legittime proprietarie della CVA . In spregio alla trasparenza e del rispetto dei cittadini.

E' opportuno ricordare che CVA nasce da una precisa scelta politico-amministrativa, iniziata nel 1995 e compiutamente conclusasi nel 2002. Una decisione che portò alla acquisizione da parte della Regione di tutte le centrali Enel operanti in Valle d'Aosta e alla costituzione della “ Compagnia Valdostana delle Acque “ per gestirle. In merito all'accordo del 19 Aprile 2000, l'allora presidente della giunta Dino Vierin, e l'assessore alla Pubblica Istruzione Ennio Pastoret , commentavano così il significato dell'accordo:” Non é dunque retorico sottolineare l'importanza del momento storico in cui nel 2000 la comunità valdostana si riappropria della disponibilità delle acque che scorrono sul suo territorio, aprendo prospettive certo non facili,ma estremamente coinvolgenti per tutta la Valle d'Aosta.” (1)

L'accordo quindi non era solo una questione meramente economica , ma assumeva un significato più profondo, politico, sociale e amministrativo. Poneva in essere, la questione del bene comune anche se di questo allora non se ne parlava.
Adesso si decide di venderne una parte per ricavarne dei benefici economici nell'immediato.
Senza tenere conto che una scelta così importante e strategica deve essere collocata nella prospettiva delle future generazioni.

E' un dovere e un piacere impedire che questo avvenga, evitiamo di aggravare la situazione consentendo o approvando tacitamente avventure finanziarie che di creativo hanno solo il tornaconto di pochi.

Visti i risultati di questi anni, frutto anch'essi di “profonde e attente valutazioni” da parte dei precedenti governi regionali : ( Trasporti, trenino Pila -Cogne, Aeroporto, Casinò, Piano rifiuti ), sarebbe bene fermarsi in tempo al fine di evitare altri disastri.

Per quanto riguarda il referendum consultivo vale quanto detto e scritto dal sen. César Dujany : “ il problema dell'acqua e della sua utilizzazione é stato oggetto di secolare attenzione da parte della popolazione e dei suoi rappresentanti. Oggi la CVA, che utilizza a fini economici le nostre acque , é un patrimonio della popolazione valdostana. Sarebbe opportuno che il suo futuro venga discusso pubblicamente, ed il suo futuro deciso dai cittadini attraverso un referendum”.

Il Comitato é disponibile a fornire tutti i chiarimenti e le precisazioni che queste note dovessero suscitare.

Le attività del Comitato non devono essere intese come un atto ostile nei confronti di CVA. Ma al contrario come un'atto di attenzione nei confronti della stessa, e delle sue maestranze che svolgono un'essenziale servizio pubblico.

In attesa di un riscontro da parte sua, la salutiamo e le auguriamo buon lavoro.
Per il Comitato :
Alessandro Bortot Levis, Alessandrina Deval, Natalina Casti, Egidio Lale-Demoz. Tania Piras, Piera Reboulaz, Manuel Voulaz, Paolo Meneghini, Michele Talamo, Paolo Gino.

(1) il testo completo si può consultare nell'opera “ Rus et barrages” presso la biblioteca regionale.

mercoledì 20 settembre 2017

Dujany :Referendum sull'Acqua della Valle d'Aosta


Ringraziamo Cesare Dujany
 


Conferenza Stampa

RIPRENDIAMO DA " BOBINE TV "

Fra i firmatari dell'iniziativa de Comitato “ Giù le mani dalle Acque e da CVA” anche il senatore Cesare Dujany. Paolo Gino annuncia, per l'autunno, l'organizzazione di nuovi dibattiti e incontri informativi.


Dopo aver ricevuto il consenso del senatore Dujany, continua la raccolta di firme per un referendum che non potrà esserci ma darà un segnale. E prosegue…
BOBINE.TV

mercoledì 26 luglio 2017

Il Fallimento dell'Acqua Privatizzata


Marco Bersani  
( Il Manifesto, 25 luglio )


Dentro l’Italia che brucia, dentro l’agricoltura sfiancata dalla siccità, nel disastro ambientale del lago di Bracciano e del possibile razionamento dell’acqua a Roma Capitale, spiace dover dire ancora una volta «i movimenti l’avevano detto». Ma, per quanto frustrante, è la pura verità. Le dichiarazioni dei politici ai telegiornali, le dissertazioni degli opinionisti nei talk show, le roboanti tabelle degli amministratori delegati delle società privatizzate di gestione dell’acqua si inseguono tra loro, compiendo una consapevole rimozione su un nodo di fondo: l’acqua, bene comune naturale, essenziale alla sopravvivenza delle persone, non può essere gestito, se non tenendo conto dell’interesse generale e della conservazione del bene per le generazioni future.

Siamo da tempo immersi nella drammaticità di cambiamenti climatici in corso, le cui conseguenze

lunedì 24 luglio 2017

I nostri valorosi Autonomisti

Il patrimonio idrico della Valle d’Aosta sarà di proprietà regionale

Il provvedimento, approvato il 14 giugno scorso dalla Commissione paritetica Stato-Regione e composto di cinque articoli.

“Quella della proprietà regionale delle acque è una tematica di cui già i padri fondatori della nostra Autonomia avevano percepito tutta l'importanza - riferisce il presidente Joël Farcoz - proprio perché l'acqua è una delle maggiori ricchezze di cui dispone la Valle d'Aosta, con questa norma di attuazione, una volta approvata dal Consiglio dei ministri, la Regione avrà la piena titolarità di tutte le acque, anche di quelle che avevano altre finalità dall'uso irriguo e potabile, come quelle per la produzione idroelettrica, che prima erano riservate allo Stato e date in concessione gratuita alla Regione per 99 anni, completando così l'iter di trasferimento del demanio idrico alla Regione.”
ADESSO CHE LA REGIONE AUTONOMA VALLE D'AOSTA E' PROPRIETARIA DELLE ACQUE VUOLE VENDERE AI PRIVATI LA COMPAGNIA VALDOSTANA DELLE ACQUE CHE LE SFRUTTA PER FARE ENERGIA PULITA.
Un bell'esempio di coerenza autonomista.                                                                   P. Meneghini

L'acqua di Roma e l'acqua di Aosta



Una riflessione su a chi gioverebbe la quotazione in borsa di CVA.

La vicenda dell'acqua di Roma è la prova di quello che succede con la privatizzazione di servizi che dovrebbero essere pubblici e comunque sottratti al profitto: i romani stanno per trovarsi con l'acqua razionata. In compenso gli azionisti di ACEA (società che gestisce l'acquedotto di Roma di molte altre città del centro Italia e che è quotata in borsa) tra i quali c'è lo stesso comune di Roma, ma anche una multinazionale francese e i Caltagirone quest'anno hanno incassato alti dividendi.
Una società privata inevitabilmente e giustamente cerca il profitto da distribuire agli azionisti, e riduce gli investimenti a favore dell'utile da distribuire. Se ACEA fosse rimasta interamente sotto il controllo pubblico avrebbe potuto investire gli utili in nuove fonti di approvvigionamento e in miglioramenti alla rete ed ora non dovrebbe tagliare l'acqua.
La stessa logica guiderebbe CVA qualora fosse quotata in borsa: dovrebbe necessariamente destinare gli utili agli azionisti anziché agli investimenti. 

( post condiviso da altravda )

sabato 1 luglio 2017

CVA: Perchè entrare in Borsa ?

La scelta se quotare in borsa CVA è di grande importanza per il futuro della Valle d’Aosta. 
Lo è ancor di più ora, che le modifiche alla legge Madia, ci permettono di scegliere. 
A mio parere non si tratta semplicemente di valutare il volume economico dell’operazione e i vantaggi di cassa “una tantum” che ne deriverebbero per la Regione. 

Non credo nemmeno che sia sufficiente valutare i vantaggi “imprenditoriali” per una azienda che, come qualsiasi altra impresa, si deve confrontare con il mercato e con la concorrenza in un settore competitivo come quello dell’energia da fonti rinnovabili. 
Io credo che in gioco ci sia di più. 
C’è un’idea di bene pubblico e di autonomia che non possiamo lasciare fuori dal dibattitto. 
Se la proprietà di CVA passerà, anche solo in minima parte, ai privati per il tramite della Borsa dobbiamo essere assolutamente consapevoli che cambierà la “natura” stessa di CVA.

 Passerà da “impresa pubblica” con una ragione sociale e compiti e scopi imprenditoriali (idealmente) coincidenti con il “bene pubblico” ad “impresa a partecipazione pubblica” dove le scelte e gli indirizzi della “proprietà” regionale, per quanto (idealmente) orientate al bene pubblico dovranno sempre e obbligatoriamente essere mediate con l’interesse privato di massimizzazione dei profitti dei nuovi azionisti. 

Non è una valutazione morale o ideologica la mia - ma la legge. 
La gestione in una Spa, infatti, deve essere orientata alla massimizzazione del profitto per tutti gli azionisti-soci, che vantano eguali diritti nei confronti dell'azienda.
Una gestione garante dei soli azionisti di maggioranza, anche nel caso che questi rappresentino la totalità dei cittadini, costituirebbe una violazione di gravità tale da giustificare la revoca del mandato agli amministratori. 

Per fare un esempio se la maggioranza della proprietà (pubblica) decide di abbassare le tariffe o finanziare un’opera a favore della comunità con le risorse dell’impresa non lo potrà più fare. 
Se ci pensate è logico e anche giusto per una azienda qualsiasi, ma nel nostro caso? 

Il discrimine, sul quale sarebbe utile riflettere, è se è nel “nostro” interesse che la Regione sia ancora proprietaria di una azienda come CVA. 
Se cioè lo sfruttamento delle acque, del vento e del sole per la produzione di energia elettrica sono un “bene pubblico” da tutelare e gestire a fini pubblici oppure no. 

Se la risposta è Si le considerazioni “imprenditoriali” che anche il Consiglio di amministrazione di CVA ha rilanciato pubblicamente (forse debordando un po’ dalla sua funzione) devono venire in secondo piano e spingerci a cercare un modello nuovo e più trasparente di impresa pubblica a partire dall’idea che la nostra “autonomia” si concretizza sul futuro e non sul presente. 

Se la risposta è, invece, che l’energia elettrica dovrebbe essere un affare da lasciare alla logica del mercato e della concorrenza fra i privati, credo che la scelta dovrebbe essere orientata verso la totale dismissione. Se non è un “bene pubblico” per quale motivo la Regione dovrebbe occuparsene? Non credo che sia più il tempo delle mezze misure. 
Fabio Protasoni

venerdì 23 giugno 2017

CVA : le Sintesi Magistrali di Marquis e Rollandin (in Video)

COMUNICATO STAMPA DEL COMITATO

Il consiglio regionale prosegue nella quotazione: noi non siamo d’accordo!

Durante il consiglio regionale di mercoledì 21 giugno, il Movimento 5 Stelle ha presentato in aula un emendamento che chiedeva la definitiva cancellazione della quotazione in borsa di CVA, attraverso l’abrogazione dell’articolo 27 della finanziaria regionale.
Alla luce della recente modifica alla riforma Madia che prevede la non obbligatorietà della quotazione, ci saremmo aspettati un voto favorevole a questa proposta da parte di molte forze politiche; invece, con sommo rammarico, apprendiamo che il Consiglio ha respinto con 2 voti a favore e 33 astensioni questo emendamento.

Per cercare di addolcire gli animi dei cittadini che si informano, alcuni consiglieri hanno avanzato una risoluzione, approvata all’unanimità dai 33 rimasti in aula, che chiedeva la sospensione dell’iter. Sappiamo bene, però, che la sospensione politica non equivale alla sospensione dei lavori negli uffici, i quali  proseguiranno senza indugio per portare a conclusione il prospetto di quotazione. Questa risoluzione non è nient’altro che fumo negli occhi.

Ci appare quindi chiara quale sia la volontà della politica valdostana e prendiamo atto che l’intenzione della stragrande maggioranza delle forze politiche sia andare avanti e quotare.
Il Comitato Giù le mani dalle Acque e da CVA non è d’accordo con le decisioni prese in consiglio regionale, riteniamo assurda la volontà di procedere in questa operazione.

Come abbiamo più volte ribadito, riteniamo che i valdostani siano gli unici a doversi esprimere e debbano avere il DIRITTO di votare in modo democratico e partecipato a favore o contro la quotazione in borsa della Compagnia Valdostana delle Acque.
Perciò, per dare voce ai valdostani, il Comitato avvierà una raccolta firme per chiedere un referendum consultivo.  

CVA è proprietà di tutti e riguarda tutti. L’acqua pubblica è un bene di tutti e riguarda tutti.
Difendere ciò che appartiene a tutti, perché non diventi appannaggio di pochi, è un nostro dovere!
 Comitato giù le mani dalle Acque e da CVA
* * *
Sul significato della Risoluzione di Sospensione ( ? ) della Quotazione di CVA  ( approvata dal consiglio regionale al gran completo ) ci sono state diverse interpretazioni :

VIDEO Rollandin >> http://www.consiglio.regione.vda.it/

VIDEO Marquis >>  http://www.consiglio.regione.vda.it/ 

E qui il VIDEO del Consigliere Gerardin  (che insieme a Padovani e Bertin, ha proposto la Risoluzione approvata all'unanimità)   >> http://www.consiglio.regione.vda.it

Qui il VIDEO del Consigliere Ferrero che spiega l'Emendamento dei 5 stelle (respinto all'unanimità) -  in cui si chiedeva la cancellazione della quotazione CVA )  >>> http://www.consiglio.regione.vda.it

Qui il breve testo che spiega le intenzioni dei Proponenti della Risoluzione approvata dal Consiglio  
http://www.mouv.vda.it/